mercoledì 11 aprile 2012

Pizzoni, chi era costui? (il capo dimenticato della Resistenza)

In due righe
Questo articolo è per chi non sa che Alfredo Pizzoni è stato il 'presidente' del CLNAI ed è interessato a sapere perché ci siamo dimenticati di lui. Questo articolo è un contributo alla conoscenza e un tributo a un italiano libero, liberale, e senza partito.
1894-1943
Pizzoni nasce a Cremona nel 1894. Figlio unico di Paolo, borghese lombardo e generale di artiglieria, e di Emma Fanelli, figlia di un banchiere napoletano.

Io appartengo a una generazione che fu cresciuta nel culto dell'Amor di patria (1).

Dalla madre impara il francese, il tedesco lo apprende in Germania, lo spagnolo dai Salesiani, l'inglese in Inghilterra, dove ottiene il titolo di Bachelor of Arts alla London School of Economics. Dall'Inghilterra rientra in Italia per partecipare alla Prima Guerra Mondiale, come ufficiale dei bersaglieri, e merita poi una medaglia d'argento al valor militare.

Dopo la guerra, partecipa all'avventura di D'Annunzio a Fiume, ma per poco (ottobre 1919-febbraio 1920). Deluso, riprende gli studi a Pavia, dove si laurea in Giurisprudenza nel 1920. Poco dopo, viene assunto dal Credito Italiano. Nel 1922 sposa Barbara Longa. Il primo dei loro cinque figli nasce l'anno dopo.

Nel 1924 aderisce a Italia Libera, il primo movimento antifascista clandestino, sciolto da Mussolini l'anno seguente. Si avvicina allora a Giustizia e Libertà. Per queste posizioni, il governo forza il Credito Italiano a licenziarlo, nel 1930. Ma subito dopo, la banca, che non voleva perderlo (era stato dirigente a Trieste e poi a Milano), lo assegna a una filiale periferica, Biella. Nel 1930, la cospirazione di GL viene intercettata dal regime, Pizzoni viene interrogato ma non arrestato. Sotto la pressione della moglie, Pizzoni si allontana dalla politica e prende la tessera del Partito Nazionale Fascista nel 1933. Poco dopo, può tornare a lavorare a Milano.

Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, Pizzoni, contro il parere della moglie, decide di rinunciare all'esonero al quale aveva diritto. Pizzoni ritiene di doversi arruolare per potersi trovare in una posizione rilevante nel momento dell'inevitabile sconfitta, e dunque poter fare qualcosa di utile:

Mi ero persuaso che l'unica via utile aperta davanti a me era quella che passava per l'Esercito: infatti il giorno del disastro, in Italia tutto sarebbe caduto, governo, burocrazia, polizia, legami sociali di ogni genere. Solo l'Esercito avrebbe potuto operare a tenere unita una compagine tra i cittadini [...]. Ero intenzionato a evitare l'ambiente dei comandi, infido e pieno di elementi fascisti, mentre era più opportuno assumessi un comando di battaglione, reparto che un uomo deciso e autorevole può tenere alla mano, affiatarselo e avere influenza sul suo impiego (2).

Ingenuo, coraggioso, fiducioso. Ma la guerra di Pizzoni finisce prima di cominciare. Infatti, il 23 gennaio 1942, la nava Victoria, che lo stava trasportando in Cirenaica, viene attaccata da aerei e sommergibili inglesi, viene colpita e affonda. Pizzoni si salva, è ferito e viene definitivamente esonerato dall'esercito. Per il suo comportamento in quella occasione, viene poi premiato con la medaglia di bronzo al valore militare. In ottobre, riprende servizio in banca, a Milano.

Pizzoni si introduce nell'ambiente liberale, che sente il più vicino. Ma fino all'estate del 1943, l'antifascismo è ancora disorientato e disorganizzato. Il 25 luglio, Mussolini viene dimissionato dal Gran Consiglio del Fascismo, arrestato, e sostituito da Badoglio. In quello stesso giorno, i partiti antifascisti fondano il Comitato interpartitico. Il rappresentante del Partito liberale è assente, e l'avvocato socialista Roberto Veratti chiede a Pizzoni di sostituirlo. Pizzoni, benché non iscritto, accetta. Al rientro del rappresentante liberale, Veratti chiede a Pizzoni di rimanere presente, come membro esterno. Ed è ancora Veratti, il 20 agosto, a chiedere al Comitato che a moderare le riunioni sia Pizzoni:

Tutti annuirono e così iniziai il mio lavoro di dirigenza e di coordinazione (3).

L'8 settembre, il Comitato interpartitico diviene il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), diretto a Roma dal liberale Ivanoe Bonomi. Verso la fine di settembre, su proposta del comunista Girolamo Li Causi, Pizzoni viene riconfermato alla guida del Comitato milanese (che pochi mesi dopo prese il nome di Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia - CLNAI). La riconferma è unanime: Giuseppe Dozza e Girolamo Li Causi (Partito Comunista), Enrico Falk ed Enrico Calò (Democrazia Cristiana), Ferruccio Parri e Vittorio Albasini Scrosati (Partito d'Azione), Giustino Arpesani e Luigi Casagrande (Partito Liberale). Tuttavia, lo statuto del CLN non prevedeva quella posizione:

Accettai l'incarico perché era chiaro che il CLN non avrebbe mai eletto presidente uno dei suoi membri politici... Su questa 'imperfezione' del mio mandato io meditai a lungo, e non ebbi mai dubbi sul dovere che avevo di non sollevare eccezioni, e di accettare la carica così come mi era stata data, nel solo fermo intendimento di servire il mio Paese (4).

1943-1945
È impossibile in poche righe ricostruire bene l'opera del CLNAI e il ruolo di Pizzoni (nome di battaglia: Pietro Longhi; altri nomi: Melino, Paolo Felici). In primo luogo, Pizzoni coordina il Comitato. È utile ricordare quanto fosse difficile tenere coeso il Comitato. I partiti, infatti, concordavano solo due cose: far terminare la guerra e far cadere il fascismo. Su tutto il resto, erano divisi da opinioni e strategie diverse. Primo esempio: se l'Italia sarebbe dovuta restare una monarchia (azionisti, comunisti, socialisti erano nettamente contrari; democristiani e liberali erano in parte contrari, in parte favorevoli). Secondo esempio: chi dovesse assumere il comando delle operazioni militari (a contendersi il comando erano azionisti e comunisti). Terzo esempio: se accettare un patto con il governo Badoglio (contrari azionisti e socialisti; possibilisti gli altri; fino alla cosiddetta svolta di Salerno nel febbraio 1944, quando Togliatti riuscì a convincere tutti che si doveva accettare Badoglio, perché Badoglio era riconosciuto dagli Alleati).

Oltre al coordinamento, Pizzoni si occupò direttamente del rapporto con gli Alleati e del finanziamento della Resistenza. Gli Alleati non consideravano il CLN un co-belligerante né intendevano riconoscerlo come un interlocutore politico. Pizzoni, dopo che Parri aveva avviato le prime trattative in modo fallimentare (5), riuscì a poco a poco a persuadere gli Alleati dell'affidabilità del CLN e a ottenere da loro notevoli finanziamenti abbastanza regolari. Per dare l'idea di quanto dovesse faticare Pizzoni a tenere unito il Comitato e di quanto i partiti del Comitato non riuscissero a stabilire con gli alleati una relazione positiva, valga questa lettera dell'agosto del 1944 di John McCaffery (responsabile dell'agenzia di servizi segreti inglesi Special Operation Executive) a Ferruccio Parri, che si lamentava di non ricevere abbastanza aiuto:

Non ricevete abbastanza armi? Lo so. Anche nella Francia, nel Belgio, nella Polonia, nella Grecia, nella Jugoslavia, nell'Olanda, nella Danimarca, nella Norvegia, nella Cecoslovacchia non hanno mai avuto abbastanza armi. Ma da nessuna parte in un periodo di quattro anni ho avuto più lamentele che da Voi. E nessun altro ha mai sognato di parlare di mire machiavelliche da parte nostra. Io nei riguardi dell'Italia, come Le ho detto altre volte, ho sempre agito da amico. Adesso parlo anche da amico; ma non per questo, anzi precisamente per questo, devo parlare chiaro. L'Italia ha subito il fascismo. Va bene. L'Italia è entrata in guerra contro di noi. Va bene. Malgrado tutta la buona volontà di Lei e dei Suoi amici sappiamo benissimo quanto ci è costato in uomini, in materiale ed in sforzo quella entrata dell'Italia. A causa delle nostre operazioni difficilissime ma riuscite siete stati in grado di avere un colpo di stato. Che non è andato bene è dovuto in gran parte alla mancanza di preparazione ed alla mancanza di reciproca fiducia che c'era fra gli elementi favorevoli laggiù. Chi scrive ne sa qualcosa. Adesso avete avuto la possibilità di ritrovarVi e di finire accanto a quelli a cui l'Italia ha causato così gravi danni. Nessuno più lieto di noi di questa possibilità; nessuno più pronto ad aiutarVi. Ma, diamine, non pretenderete Voi adesso di dirigere le operazioni militari invece di Eisenhower o di Alexander. Molto tempo fa le ho detto che il più grande contributo militare che potevate portare alla causa alleata era il sabotaggio continuo, diffuso, su vasta scala. Avete voluto delle bande. Ho appoggiato questo Vostro desiderio perché riconoscevo il valore morale di esse per l'Italia. Le bande hanno lavorato bene. Lo sappiamo. Ma avete voluto fare degli eserciti. Chi Vi ha chiesto di fare così? Non noi. L'avete fatto per ragioni politiche, e precisamente per ri-integrare l'Italia. Nessuno vi darà colpa per questa Vostra idea. Ma non date nessun torto ai nostri generali se lavorano almeno essenzialmente con criteri militari. E soprattutto non tentate di addossare a noi degli scopi politici perché questi criteri militari non si conformano in pieno agli scopi politici Vostri. Non voglio dire di più. Un'ultima parola di consiglio. Avete degli amici. Non cercate proprio di perderli" (6).

Pizzoni era un tecnico: conosceva le banche e le persone che vi lavoravano. Ed escogitò un meccanismo per cui il denaro degli Alleati affluiva ai suoi conti personali, dei quali garantiva personalmente. Pizzoni ricevette in questo modo circa un miliardo di lire di allora, e lo contabilizzò con la massima precisione. E questo denaro fu restituito agli Alleati fino all'ultimo centesimo, dopo la guerra, a cura del Ministero del Tesoro.

Pizzoni inventò anche un sistema molto originale per finanziare la Resistenza: stampigliò sulle banconote correnti un valore dieci volte superiore (7). Chi comprava le banconote a quel valore aveva la garanzia che la differenza gli sarebbe stata restituita dopo la guerra (il che avvenne puntualmente, a cura della Banca d'Italia. Pizzoni aveva preso accordi in tal senso con Luigi Einaudi).


Un normale cittadino
Il 25 aprile 1945 cade il fascismo, la guerra finisce. Gli obiettivi comuni sono raggiunti. La questione della dirigenza Pizzoni, già più volte ragione di conflitti nel CLN, si pone ora in modo drastico. Riunione del CLN del 25 aprile (Pizzoni è assente: sta rientrando via Svizzera da una missione a Roma):

Pertini: Longhi non può rappresentare né fare più parte del CLNAI come membro; queste sono le condizioni ben chiare messe dal partito socialista. Se sarà messo un portavoce preferisce che venga scelto di volta in volta; ma ciò metterà in condizione di inferiorità il CLN nei confronti degli Alleati. Invita quindi a meditare su questo problema.
Sereni: si associa (8).

Pizzoni arriva a Milano il giorno dopo. Il 27 aprile, riunione del CLNAI. Il verbale di quella riunione manca o non è stato pubblicato. Ricorda Pizzoni:

27 aprile. Venerdì mattina. Riunione del CLNAI che presiedo. Relazione, breve, missione a Roma. Argomento presidente. Ho parole amare per quanto fattomi. Vengo acerbamente attaccato da Aldo [Emilio Sereni, PCI], mi si nega tutto quanto ho fatto. Solo i politici iscritti ai partiti possono e devono rimanere. Come via d'uscita (idea del momento di Leo [Valiani, PdA]) mi viene offerta la presidenza di una costituenda commissione finanziaria. Faccio osservare l'errore che commettono nel non lasciarmi figurare alla testa del comitato nei riguardi degli alleati che hanno fiducia e conoscono Longhi. Vengo molto generosamente difeso da Fabio [Achille Marazza, DC]. Leo [Valiani] cortese, ma non fermo. E ha già deciso la mia uscita. Maurizio [Ferruccio Parri, PdA] mi appoggia nei riguardi degli alleati. Giustino [Arpesani, PLI] silenzioso, si riferisce a quanto ha già detto nelle riunioni precedenti, nel corso delle quali la mia sorte è già stata decisa, in mia assenza, e contrariamente agli impegni. Si decide che io abbia un incarico di collegamento fra comitato e alleati. Non è nemmeno chiaro se io sia membro del comitato (9).

Su proposta di Sandro Pertini, il candidato presidente è Rodolfo Morandi, socialista. Ricorda Pizzoni l'andamento del voto:

Giustino: dopo lungo silenzio e titubanza: Sì. A titolo personale e salvo rettifica del suo esecutivo non interpellato. Leo: Sì. Sandro: Sì. Aldo: sì. Fabio ha voluto rimanere per ultimo dopo consultazione con De Gasperi: Sì, riluttante (10).

Una estromissione poco elegante, irriguardosa dei reciproci sentimenti di rispetto e di fiducia che questi (e altri) uomini avevano condiviso per due anni e mezzo in operazioni nelle quali rischiavano la vita. Tuttavia, l'estromissione di Pizzoni è un passaggio politico che si spiega chiaramente con la mutata situazione politica. Non un bel gesto, dunque, ma la politica può farne a meno.

Pizzoni, per quanto entri di diritto nella Consulta Nazionale, esce rapidamente dalla politica. Diviene presidente del Credito italiano. Nel 1953 riceve il titolo di Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Muore nel 1958.


L'oblio
Uscito dalla vita politica, Pizzoni è sparito per cinquanta anni, fino al 1995, anche dalla storia. Il suo nome figura, e non potrebbe essere diversamente, nelle ricerche storiche documentarie, le principali delle quali mi pare che siano:

·       Franco Catalano, Storia del CLN, Milano, Bompiani, 1975 (prima ed. 1956)
·       Gaetano Grassi (a cura di), Verso il governo del popolo. Atti e documenti del Clnai 1943/1946, Feltrinelli, Milano, 1977.

Ma il nome di Pizzoni sparisce dalla storiografia, in particolare dai due testi forse più influenti sulla formazione dei docenti, sui manuali scolastici e dunque, più in generale, sulla coscienza e sulla conoscenza di generazioni di italiani:
·       Roberto Battaglia cita Pizzoni due sole volte nelle 624 pagine del suo Storia della Resistenza italiana, Torino, Einaudi, 1964
·       Giorgio Bocca cita Pizzoni quattro volte nelle 581 pagine del suo Storia dell'Italia partigiana, Milano, Mondadori, 1995.


Una lettera al Corriere
Il 30 marzo 1985, Lord Patrick Gibson, ex ufficiale delle Special Forces inglesi, che aveva operato in Italia durante la Resistenza e che conosceva bene il ruolo di Pizzoni, scrisse, in occasione del 40 anniversario della liberazione, a Piero Ostellino, allora direttore del Corriere della Sera:

Desidero esprimere, anche a nome di molti altri colleghi e amici che presero parte a quegli eventi storici, il disappunto e la tristezza che tutti noi abbiamo in questi anni nel vedere che il nome illustre di Alfredo Pizzoni (alias Pietro Longhi) non sia stato quasi mai ricordato. È stato Pizzoni, come primo Presidente del Comitato di Liberazione Alta Italia, il vero capo della Resistenza. È stato Pizzoni che, attraverso Svizzera e Francia, nel 1944, a capo di una delegazione del CLNAI, raggiunse il Quartier Generale Alleato nell'Italia meridionale e riuscì a convincere gli Alleati ad avallare e sostenere un piano ingegnoso, da lui stesso escogitato, per finanziare il movimento di Resistenza e le forze partigiane. Che il piano abbia funzionato è una prova della fiducia e del rispetto di cui il dott. Pizzoni godeva presso di tutti. Infatti, tornato a Milano dalla missione al Sud, egli riuscì a persuadere le principali banche a finanziare la Resistenza e ad anticipare le ingenti somme concordate, dando come unica garanzia la sua assicurazione personale che tali somme sarebbero state restituite al termine delle ostilità.
È anche importante ricordare questo particolare: quando il comandante in capo della truppe alleate, maresciallo Lord Alexander, nel 1951 presentò la sua relazione finale sulla campagna in Italia, fu ad Alfredo Pizzoni, in quanto capo indiscusso della Resistenza italiana, che egli indirizzò una lettera (pubblicata, mi sembra, almeno in parte, sul Suo giornale) in cui esprimeva l'apprezzamento per l'altissimo contributo dato dal movimento della Resistenza e dalle forze partigiane alla vittoria alleata in Italia).
Alfredo Pizzoni fu, senza alcun dubbio, il negoziatore principale, per conto della Resistenza italiana, con l'Alto comando alleato, con le Special Forces, con l'OSS, per tutti gli aiuti militari e finanziari ai partigiani.
La posizione speciale che Pizzoni aveva a quel tempo – ossia il fatto che egli fosse indipendente da ogni partito politico – gli conferiva un'autorità particolare – unica, direi – che ispirava sia stima nei suoi collaboratori italiani sia fiducia negli interlocutori alleati con i quali condusse i negoziati.
Questa sua indipendenza da partiti politici è, forse – triste a dirsi – la causa probabile del fatto che egli sia stato praticamente dimenticato
(11).

La lettera non apparve sul Corriere della Sera. Anni dopo, Ostellino sostenne di non averla mai ricevuta (12).

Le memorie e la biografia
Alla sua morte, Pizzoni lasciò delle memorie e altro materiale. Dispose che la pubblicazione non potesse avvenire prima di venticinque anni. Ma quando passarono (1983) era Presidente della Repubblica Sandro Pertini, e la pubblicazione venne rimandata.

Nel 1993 il Credito italiano finanziò una edizione di 3000 copie delle memorie di Pizzoni, Alla guida del CLNAI. Memorie per i figli, con una prefazione di Renzo De Felice, stampata dall'editore Einaudi e distribuita esclusivamente quale strenna della banca. Einaudi non intese farne un'edizione commerciale, che fu realizzata nel 1995 dall'editore Il Mulino, ancora prefata da De Felice.

Ma non ci fu un 'caso Pizzoni': qualche recensione (fra cui quella di Leo Valiani sul Corriere) e poi, di nuovo, il silenzio, per dieci anni.

Nel 2005, Tommaso Piffer pubblicò con l'editore Mondadori la prima e finora unica biografia di Pizzoni (ma è già esaurita). Anche stavolta, qualche recensione (se ne trovano anche in internet), ma nessun caso 'Pizzoni'.

Il caso Pizzoni
C'è un caso Pizzoni?
La tesi di Piffer è dura e si sostiene su due premesse:
  • che la storia della Resistenza è rimasta vittima della lotta politica, che ha impedito alla verità dei fatti di emergere e di contrastare le verità di comodo;
  • che i personaggi che non rientrano in una logica di politica-partitica sono stati accantonati dalla storiografia ideologica.
Alla damnatio memoriae di Pizzoni avrebbero, secondo Piffer, cooperato tutti: dolo intellettuale della storiografia marxista (Battaglia e Bocca), ignavia della storiografia cattolica e liberale (fino a De Felice). Questa tesi è sostenuta anche da Ernesto Galli della Loggia, che però chissà perché limita la sua condanna alla storiografia marxista, salvando quella cattolica e liberale (13).

Che la storiografia qualche difetto ce l'abbia, mi pare certo: se sia dolo, colpa, negligenza o imperizia decida il lettore. Per conto mio, sono più interessato a valorizzare la bibliografia minima che ormai c'è e che può essere arricchita di nuove ricerche (le carte Pizzoni sono disponibili a tutti: si trovano all'Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia; le banche dati sono consultabili qui). Con un po' di fatica, d'accordo, ma chi vuole può sapere e può contribuire a farci sapere di più e meglio.


Il caso nostro
Il caso Pizzoni ha due facce.
La prima: che è doveroso riconoscere a Pizzoni il ruolo che ebbe. Oggi, dopo tanto tempo, sarebbe pura vigliaccheria continuare a ignorarlo. Agli educatori la responsabilità maggiore. Ma anche la stampa e le istituzioni potrebbero e dovrebbero spendere qualche parola. Quanto ai partiti, che si professano tutti o quasi tutti 'liberali da sempre', ecco una buona occasione per essere creduti. In ogni caso, basta poco. Qualche idea? Una mostra, qualche articolo, una correzione sui manuali di storia, una parola a lezione.

A proposito, tra poco sarà il 25 aprile. Ultimamente, scusate l'amabilità, è stato tristemente strumentalizzato alla bassa rissa politica quotidiana, dove la ragione e il torto sono, come dice Paolo Conte, un'idea come un'altra. Potrebbe questa essere l'occasione che qualcuno tiri fuori il nome di Pizzoni e insomma faccia quello che si dovrebbe fare da settant'anni?

Oltre che essere giusto per Pizzoni, sarebbe anche un bel segnale che forse ci stiamo svezzando dalla soggezione che le verità di comodo esercitano su di noi e che ci impedisce persino di vedere che sono verità di comodo, sicché le prendiamo per verità.

Ultimamente, grazie alla crisi, si è diffuso ma non ancora abbastanza il sospetto che molte verità siano state solo di comodo. Il guaio è che costa fatica sostituire una verità di comodo con un'altro tipo di verità, per esempio quella storica. Bisogna infatti accettarne le conseguenze. Vantaggi e svantaggi. Non c'è dubbio che la verità di comodo faccia comodo.

Ecco perché penso che il caso Pizzoni sia la metafora di un caso nostro, di tutti noi. E' il tema della verità nascosta, della verità non cercata, della verità non detta, della verità scomoda, della verità condivisa, della verità costosa. E' il tema del quanto mi conviene che la verità sia nota, del quanto mi costa dirla, del quanto io rischio che dicendola cambino a mio svantaggio certe cose.

Abbiamo paura?

Note
1) Tommaso Piffer, Il banchiere della Resistenza. Alfredo Pizzoni, il protagonista cancellato della guerra di liberazione, Milano, Mondadori, 2005, p. 17.
2) Piffer, pp. 39-40.
3) Piffer, p. 61.
4) Piffer, pp. 79-80.
5) Franco Giannantoni, Il ruolo americano nella Resistenza italiana.
6) Pubblicata da Renzo De Felice, Introduzione, in Alfredo Pizzoni, Alla guida del CLNAI. Memorie per i figli, Bologna, Il Mulino, 1995, pp.33-34 .
7)  Stefano Poddi, Alfredo Pizzoni e i buoni partigiani del CLNAI, in "Cronaca numismatica", n. 189, a. XVIII, ott. 2006, pp. 30-37 (ma anche on line).
8) Gaetano Grassi (a cura di), Verso il governo del popolo. Atti e documenti del Clnai 1943/1946, Feltrinelli, Milano, 1977, p. 322.
9) Piffer, pp. 215-216.
10) Piffer, p. 216.
11) Renzo De Felice, pp. 11-12. 
12) Piffer, p. 297.
13) Ernesto Galli della Loggia, La morte della patria, Bari, Laterza, 2008 (prima ed. 1996), pp. 73-77.