martedì 18 marzo 2014

Le tecnologie dell'io (4) e il predominio della cultura a rischio di estinzione

In questo articolo, sostengo che le tecnologie dell'io non sono in se stesse un fenomeno democratico, ma hanno a che fare, almeno potenzialmente, con il sovvertimento della democrazia, inteso come la rivalsa da parte della società nei confronti del predominio che la cultura esercita sulla società. 

Le tecnologie e la democrazia 
In questi anni, molti osservatori, non solo italiani, hanno manifestato soddisfazione per la diffusione ormai planetaria di quelle che io chiamo le tecnologie dell'io (ne ho discusso costì, costà e colà), cioè, in estrema sintesi, le piattaforme blog e social (più recenti le piattaforme per editare libri). Questa soddisfazione cela, almeno in Italia, una certa accondiscendenza dell’osservatore (spesso un cosiddetto intellettuale, un opinionista da carta stampata, un professore universitario), su un fenomeno che egli giudica con un duplice approccio: a) un’opportunità in più per diffondere le sue idee; b) un fenomeno di costume in fondo in fondo democratico (che male c’è che la gente si esprima?).

Ma, dal mio punto di vista, consentire con una soluzione tecnologica l’espressione e la circolazione (gratuita) delle idee di chiunque e il dibattito relativo ha a che fare con la democrazia solo in modo superficiale. 

Infatti, nei paesi democratici chiunque può leggere quello che vuole, esprimersi e far circolare le sue idee, anche senza le tecnologie dell’io. Le quali, come ho già scritto negli articoli precedenti, consentono a chiunque solo di bypassare il processo editoriale relativo alla pubblicazione delle sue idee. E nei paesi non democratici, in che cosa consisterebbe di diverso da questo, posto che, tecnologie dell’io o non tecnologie dell’io, le opinioni contrarie al pensiero ufficiale sono comunque sanzionate e che l’accesso a certe fonti è vietato?

Il quid della democraticità delle tecnologie dell’io, dunque, consisterebbe sostanzialmente solo nel facilitare la diffusione di un’idea. Ma facilitare la diffusione non ha a che fare con la democrazia, se non in quanto può renderla più partecipat(iv)a. D’altra parte, le tecnologie dell'io non negano in alcun modo la democrazia.

Se non la negano e non la dimostrano, allora è evidente che le tecnologie sono semplicemente indifferenti alla questione e che la questione non può essere affrontata da questo punto di vista.


Il popolo del web, ma non tutto 
Lo chiamano ‘il popolo del web’. Ma, al di là delle statistiche che ci possono illustrare per esempio quale fascia d’età sia più presente nelle tecnologie dell’io, nel popolo del web nessuno è escluso, se non chi desidera restarne fuori (oppure chi non dispone del minimo tecnologico). Ci trovi chiunque, dallo scienziato al panettiere, dall’insegnante al suo studente (spesso collegati), dal primo ministro al medico, e persino le organizzazioni, di qualsiasi dimensione operative in qualsiasi settore, pubblico e privato.

Tuttavia, tra il popolo del web e il popolo non c’è affatto una piena corrispondenza, e non solo perché il popolo del web è transnazionale. Il popolo del web è popolo in quanto condivide il gusto, la necessità, la volontà, il piacere di comunicare in modo interattivo anche con persone sconosciute, che probabilmente non incontrerebbe mai altrimenti. Il popolo del web comunica su qualsiasi argomento, secondo gli interessi di ognuno.

Di questi infiniti contenuti, mi interessano ora quelli legati alla proposta di un punto di vista sul mondo, come possono essere un'opera artistica (es. musicale, letteraria, teatrale), un pensiero (es. riflessione politica, critica su una qualche materia).

Tra coloro che pubblicano il proprio punto di vista sul mondo, non mi interessano quelli che lo propongono sia attraverso le tecnologie dell’io sia attraverso i tradizionali canali di diffusione delle idee: gallerie d’arte, teatri, giornali, libri, università e così via. Mi interessano in questo articolo solo coloro che senza le tecnologie dell’io non avrebbero altra maniera di comunicare al e con il mondo il proprio punto di vista sul mondo.

L'io delle tecnologie dell'io
Le motivazioni di coloro che manifestano il proprio io esclusivamente con le tecnologie dell'io possono essere le più diverse, e possono anche mutare, comunicando con il mondo (c'è il suo bello). Ma, qui, mi interessa restringere il campo di osservazione solo a coloro che:
  • si servono esclusivamente delle tecnologie dell'io come rimedio al fallimento del loro tentativo di accedere ai canali tradizionali di pubblicazione;
  • si servono esclusivamente delle tecnologie dell'io perché nutrono una completa sfiducia nei canali tradizionali e più in generale nella cultura istituzionalizzata.
In altri termini, costoro hanno in comune un dato culturale o psicologico, o entrambi:
  • si sentono estromessi ingiustamente dai processi editoriali e dunque dal dibattito ‘ufficiale’, e cercano di guadagnare consenso e credibilità, per lo meno presso i loro ‘amici’;
  • sono ideologicamente contrari agli statuti della cultura istituzionalizzata, si rifiutano di negoziare un accesso in quei canali, la combattono da fuori con spirito eversivo (faccio qui rientrare anche i performer e gli artisti digitali).
Il primo di questi due casi mi pare più complesso.

Il rifiuto del rifiuto 
Chi è fuori dai processi editoriali e produttivi della cultura istituzionalizzata lo è per una ragione fondamentale: che qualche attore del processo editoriale ha decretato che il candidato non meriti di accedervi. Ragioni di qualità, di mercato, di opportunità, di tempo, e quello che volete, compresa la mancanza degli aiutini delle persone ‘giuste’.

Queste valutazioni sono in realtà giudizi soggettivi compiuti da professionisti del settore. Tali giudizi gravano sulla vita dei candidati respinti, anche perché chi ha un progetto vorrebbe vederlo realizzato vita natural durante e non morire sperando che sia realizzato postumo, quando non potrà trarvi più alcuna soddisfazione, come del resto è accaduto a molti talenti incompresi nella loro epoca. I quali dovevano rassegnarsi, sorretti forse dalla consapevolezza. Tuttavia, la storia della cultura ci dice che Danti e Kanti inediti e sconosciuti non ne esistono. Pubblicati magari dopo morti, ma pubblicati alfin.

Vale la pena aggiungere poi che nel nostro modello culturale c'è posto per tutti (basta farsi un giro in libreria). Dico meglio: non proprio per tutti, ma per molti sì (anzi troppi). Ma, diversamente da un Leopardi, il candidato respinto di oggi, prima di affidarsi alla posterità, ha un’altra carta da giocare, un’altra strada da tentare: le tecnologie dell’io.

Le tecnologie dell’io sono dunque lo strumento del rifiuto del giudizio di rifiuto espresso dal sistema culturale, attraverso gli esperti che il sistema delega a sorvegliare che la produzione culturale si mantenga a un certo livello.

Qui si apre una questione rilevantissima, e del tutto nuova. Levando dal computo coloro che sono vittime di un errore di valutazione, assistiamo a una notevole messa in circolo degli scarti che non giungerebbero mai al pubblico attraverso i normali processi editoriali. Questi scarti sono al di sotto del minimo culturale stabilito dal sistema, oppure rappresentano un modello culturale che il sistema non è in grado di comprendere o addirittura teme e combatte,  dunque tendono a coincidere con la produzione di coloro che hanno escluso a priori di rivolgersi all’industria culturale, avendo determinato di combatterla?

C’è spazio per ogni risposta.

Poltiglia e nuovo modello culturale
Così, tanto per cominciare in modo simpatico, direi che senza ombra di dubbio tra gli scarti sia molta la poltiglia (che cosa sia poltiglia è giudizio soggettivo). Dobbiamo però chiederci quale sia il destino di tale poltiglia. La poltiglia ha ora, per la prima volta nella storia, un pubblico che – occhio! - non la considera poltiglia. La poltiglia potrebbe persino ottenere il sostegno della maggioranza del popolo del web. A questo punto, il conflitto tra la poltiglia e la cultura tradizionale verificata dai canali tradizionali sarebbe aperto e mortale. C’è in gioco il predominio sulla società, finora esercitato dalla cultura, e ora messo in discussione dalla poltiglia, sostenuta dai grandi numeri.

In un certo senso, il meccanismo è quello anticipato da alcune trasmissioni televisive, quelle che spettacolarizzano il provino del dilettante (selezione delle Veline, karaoke, X Factor, Grande Fratello ecc.). Queste trasmissioni hanno successo presso il pubblico (molto numeroso) che:
  • non distingue o non è interessato a distinguere la qualità di un provino dalla qualità di uno spettacolo professionale;
  • si riconosce nell’ambizione e nel destino del dilettante.
Un fenomeno sociologico? Sì all’inizio, ma temo che, protrattosi nel tempo, sia diventato ormai un modello culturale rappresentativo della nostra epoca. Quando un fenomeno considerato al di sotto del minimo culturale riesce a imporsi come modello culturale è chiaro che si devono mettere in discussione parecchie cose, compresi i criteri con i quali è stato giudicato al di sotto del minimo culturale (e, dunque, anche i criteri con i quali è stata definita la cultura, ma lasciamo andare).

Tuttavia, la poltiglia del web, nel suo eventuale imporsi quale modello culturale, beneficia di un meccanismo che non possiamo applicare alla comunicazione televisiva né ad altri canali tradizionali. Dobbiamo dunque considerarlo a parte, anche perché è intrinseco al modello culturale che la poltiglia aspira a imporre. La poltiglia esercita, attraverso i social network, una notevole pressione sui meccanismi tradizionali di trasmissione dell’informazione. L’informazione (anche quando non è poltiglia, ovviamente), una volta messa in circolo, si diffonde a cascata in varie forme e modalità: inoltrata, riformulata, citata, commentata. Il più grave degli errori che questi passaggi generano nei destinatari è la mancata verifica della fonte e della sua credibilità. Il che accade anche per l’oggettiva difficoltà di reperire la fonte, remota chissà quanti link dall’informazione ricevuta. Sicché non sono rari i casi in cui giornalisti di testate primarie hanno preso per buone le poltiglie del popolo del web e hanno dunque dato credibilità a panzane molto dannose per coloro (cittadini e imprese) che erano coinvolti, loro malgrado e a loro insaputa.

In altri termini, è il meccanismo stesso di propagazione dell’informazione tramite i social network a fornire alla poltiglia un mascheramento che permette alla poltiglia di insinuarsi camuffata e di esercitare sul pubblico meno consapevole un’opera di persuasione e di coinvolgimento che ha l’effetto di abbassare la percezione comune di che cosa sia il minimo culturale e di imporre un mero fenomeno sociologico come modello culturale.

Questo è un attacco alla cultura: la forza dei numeri, sospinta da un meccanismo favorevole.

Culture antagoniste, numeri bassi, non c'è problema (?)
Ma c’è anche un attacco culturalmente consapevole, cioè l’attacco portato dalle culture antagoniste, visionarie, destabilizzanti. Rispetto alla poltiglia, questo attacco è molto più serio sul piano culturale ma meno efficace, perché i numeri che lo sostengono sono più bassi.

E infatti il sistema culturale ha finora mostrato di accettare (probabilmente suo malgrado) la pressione della poltiglia (anche derubricata a fenomeno di costume, è pur sempre accettazione della pressione), non certo quella delle culture antagoniste, escluse anche per motivi ideologici.

Se questa tendenza fosse confermata, saremmo nei guai. Non tanto perché io pensi che le culture antagoniste abbiano in se stesse un potere salvifico o presentino tesi necessariamente migliorative del mondo, ma perché vorrebbe dire che il sistema culturale sarebbe ormai sotto schiaffo dei movimenti magmatici della società. Cioè, in altri termini, che la cultura avrebbe perduto il predominio sulla società. E lo avrebbe perduto nella misura in cui, non riuscendo a gestire la pressione della società, accredita questa forza per fenomeno culturale. E, così facendo, abbuona e asseconda un presupposto erratissimo del popolo del web (produttore di poltiglia): che il web sia una zona franca, franca dal minimo culturale e franca persino dal diritto. E invece no, non è una zona franca.

Il predominio della società
Ci sarebbe però da domandarsi se la democrazia resisterebbe nel caso in cui la società predominasse sulla cultura. Facile rispondere di no pensando all’Olocausto, allo sterminio della classe dirigente polacca compiuto da Stalin a Katyn, e giù verso fenomeni di minore gravità, come il rogo dei libri, la censura (dalla Cappella Sistina a Dario Fo). Facile rispondere di sì pensando alle vuotaggini di molte trasmissioni televisive: la democrazia e l’imbecillità non sono incompatibili.

Meno facile è rispondere, invece, se si affronta la questione nel modo seguente. Posto che le tecnologie dell’io siano uno strumento per aggirare il processo editoriale, chi è l’editore? cioè chi anticipa i soldi (investe) e gestisce il business post pubblicazione? Le società che mettono a disposizione le piattaforme tecnologiche, come Facebook inc – il caso più noto - che è proprietaria dei contenuti pubblicati sul social Facebook. La quale società, stando a quel che si legge sui giornali ma che è verosimilissimo:
  • sta studiando il modo di analizzare automaticamente il linguaggio umano meglio di quanto non sia stato fatto finora (pessimamente);
  • tiene traccia anche dei post scritti ma cancellati prima di essere stati pubblicati.
Non mi pare il caso di approfondire, qui, questo aspetto. Cerco di saltare alla conclusione: le tecnologie dell’io sono perfettamente compatibili all’autopromozione della poltiglia a nuovo modello culturale. Alle tecnologie dell’io non interessa il contenuto, interessa l’io, e interessa in termini commerciali, dunque più ii ci sono meglio è. La cultura, per chi governa le tecnologie dell’io, si configura come uno strumento da utilizzare per ottenere gli scopi. Serve comprendere i contenuti dei post per conoscere meglio il popolo del web e sottoporgli la pubblicità selezionata? Serve. E allora servono la linguistica, la statistica, la psicologia ecc. All’occorrenza, si comprano sul mercato. Sarebbe interessante sapere se i consulenti necessari per compiere queste analisi vengano reclutati nei social network, oppure tra coloro che hanno scritto saggi e insegnato nelle università. Ho come la sensazione che sia giusta la seconda.

Un bel corto circuito. Che cosa ne uscirà, è difficile dire. Ma un processo come questo, che si sviluppa in modo del tutto indifferente ai richiami del sistema culturale tradizionale, ha una cosa da insegnare a tutti nell’immediato: che il mondo di domani non sarà di coloro che pensano che quel mondo sarà il mondo nel quale i problemi di oggi saranno stati risolti. No. Il mondo di domani sarà di coloro che oggi hanno il coraggio di immaginare e di sperimentare.

È pronto il sistema culturale ad affrontare una sfida come questa? Se perdesse questa sfida, prepariamoci a ridefinire gli statuti della cultura negoziandoli con coloro che non li conoscono o che li contestano.

Articoli correlati
Tecnologie dell'io 1, 2, 3

Nessun commento:

Posta un commento