martedì 3 febbraio 2015

Le tecnologie dell'io (7): il caso di Charlie Hebdo

In questo articolo, mi occupo delle conversazioni relative ai fatti Charlie Hebdo. Rispetto agli articoli precedenti, qui non supporto il ragionamento con l'illustrazione della metodologia di analisi, né fornisco dati. Dunque, la lettura è più agevole.

L'immediatezza fatto-commento
L'agguato alla redazione di Charlie Hebdo (con i fatti che ne sono seguiti) ha occupato una gran parte delle conversazioni nelle tecnologie dell'io. Per due-tre giorni, le conversazioni hanno avuto questa prima caratteristica rilevante: il focus largamente condiviso sullo stesso argomento. La seconda caratteristica rilevante è stata l'immediatezza rispetto ai fatti, la contemporaneità con gli aggiornamenti che via via venivano resi noti. Queste due caratteristiche hanno offerto un'occasione rara se non unica di osservare in una situazione particolare i fenomeni che ho descritto negli articoli precedenti della serie Le tecnologie dell'io.

L'immediatezza fatto-notizia stampa-post ha generato e non poteva che generare tre fenomeni:
  • il post emotivo;
  • il ricorso alle fonti che più immediatamente fornivano aggiornamenti e commenti;
  • il riuso di informazione note.
Questi fenomeni sono accaduti spesso insieme. Evitare il primo fenomeno è stato possibile a molti, ma evitare il secondo e il terzo non è stato possibile, in quei giorni: le informazioni erano quelle erano.

Le idee precostituite
La caratteristica principale dei contenuti emersi in questa circostanza è dunque quella di essere coerenti con le idee già formate prima dei fatti. I fatti, in altri termini, sono stati interpretati alla luce delle idee precedentemente costituite, e sulla base delle informazioni distribuite dagli organi di informazione abituali.

Il risultato di questo mix è stato che ognuno ha trovato nei fatti nuovi la conferma di quello che pensava già. Ciò vale almeno riguardo a terrorismo, terrorismo islamico, Islam, sicurezza, politica estera (tuttavia, è possibile che, in un secondo momento, qualcuno abbia potuto e possa ancora approfondire il suo pensiero attingendo alla enorme quantità di fonti messe in circolo in questi giorni e giunte alla disponibilità di chiunque, grazie al passaparola intrinseco delle tecnologie dell'io).

Ma un elemento ha complicato le cose alle solite idee: la satira, variabile imprevista, fattore di novità. La satira ha costretto i discussant a commisurare in tutta fretta le idee precostituite su terrorismo ecc. con le idee precostituite sulla satira, ammesso e per niente concesso che tutti avessero queste ultime.

Le interpretazioni dei fatti
Fatte queste premesse cognitivo-metodologiche, le conversazioni hanno espresso/riguardato parecchi approcci interpretativi dei fatti. Senza pretesa di completezza:
  • la difesa o la censura della satira in se stessa;
  • la difesa della satira, ma solo in quanto anti-islamica;
  • la censura della satira, in quanto eccessivamente provocatoria dei sentimenti religiosi;
  • la censura della satira in quanto esplicita provocazione della religiosità islamica;
  • la distinzione della libertà di opinione dalla libertà di satira;
  • la funzionalizzazione delle libertà di espressione alla sicurezza della società;
  • la difesa della società occidentale e della sua capacità di aggregazione/integrazione di culture diverse;
  • la difesa della società occidentale come baluardo contro culture diverse e incompatibili;
  • la difesa della società occidentale dall'attacco diretto della cultura islamica;
  • la considerazione della cultura islamica come un tutt'uno;
  • la considerazione della cultura islamica come un insieme anche contraddittorio/conflittuale di atteggiamenti/punti di vista;
  • la necessità o l'impossibilità di trovare un equilibrio globale tra culture diverse;
  • il conflitto come unico metodo per trovare un equilibrio globale;
  • la polemica per stabilire quale sia la migliore religione monoteista;
  • la difesa della religione cristiana, quale fondamento della società occidentale;
  • la critica del fondamento cristiano-giudaico della società occidentale;
  • ecc.
Le modalità delle conversazioni
Non meno importanti dei contenuti, sono le modalità con le quali sono stati presentati e discussi. Per quanto abbia navigato, le principali mi sono apparse:
  • la polemica, anche molto rissosa, tra partecipanti con idee diverse;
  • la difesa a oltranza del proprio punto di vista, anche di fronte a opinioni diverse meglio documentate e argomentate;
  • la discussione ordinata, non polemica, ma solo tra partecipanti con le stesse opinioni, o non molto dissimili;
  • l'ammissione, da parte di qualche partecipante, della propria incapacità a sostenere la propria tesi, ma non l'adesione a un'altra tesi;
Più rare le conversazioni nelle quali:
  • i partecipanti con opinioni molto diverse hanno discusso pacatamente;
  • qualcuno sia riuscito a convincere un altro;
  • il post iniziale era una domanda di conoscenza e non l'affermazione di un punto di vista;
  • siano state messe in discussione le fonti di informazioni e confrontate con altre.
Il profilo cognitivo
In sintesi, le tecnologie dell'io hanno fatto emergere che i partecipanti:
  • hanno opinioni estremamente diversificate e modelli culturali che generano interpretazioni incommensurabili tra loro;
  • hanno opinioni poco negoziabili;
  • hanno la tendenza a non modificare l'opinione precostituita;
  • hanno opinioni costituite su fonti di cui non mettono in discussione l'affidabilità;
  • sono convinti, nel momento in cui entrano in conversazione, di avere qualcosa di importante da dire, anzi che quel qualcosa sia la cosa giusta, e in qualche caso anche nuova, sfuggita finora a tutti gli altri.
Ignoranza, presunzione, supponenza, prepotenza, arroganza.
Diffidenza per le diversità, incapacità conversazionale, creduta indipendenza di pensiero, manifesta approssimazione culturale, inconsapevole contraddittorietà.
Certezza incrollabile, preferenza per contrapposizioni manichee e moralistiche, propensione per soluzioni definitive (es. guerra armata al Male assoluto), superamento ontologico del dubbio.
Fallacie argomentative, errori di coerenza, approssimazioni di linguaggio, scortesie anche inconsapevoli.
Cui prodest?
A qualcuno questo spettacolo è certamente piaciuto.

Il primo a dover essere soddisfatto dello spettacolo è il titolare della tecnologia (es. Facebook) e, a cascata, i suoi fornitori di pubblicità.

Immediatamente dopo, saranno soddisfatte anche le agenzie che analizzano il cosiddetto sentiment e che vendono i loro report (che quando sono automatici sono fondati sul nulla scientifico: si veda qui perché).

I terzi a beneficiare di questo spettacolo dovrebbero essere i 'venditori di almanacchi', cioè i professionisti della comunicazione (es. i giornali), che potranno tarare meglio il loro modo di operare sulle attese dei loro 'passeggeri'.

A ruota dei professionisti della comunicazione, saranno soddisfatti i politici italiani che, per una volta, potranno procacciarsi il consenso senza dover promettere nulla di più di quanto i discussant hanno chiesto spontaneamente. Dato che il popolo ha chiesto le cose più disparate, possono procacciarsi il consenso semplicemente operando sulla generalizzata incapacità del popolo della rete di analizzare i fatti in ordine a un criterio condiviso, a un modello culturale critico, a un modello di società fondato sull'adesione ad alcuni, anche pochi ma solidi, valori indiscutibili.

Lo spettacolo di questo volgo disperso avrà fatto una certa impressione e qualche tenerezza anche ai politici europei (e globali), in ordine alle loro ragioni.

Ritengo però che i più interessati alle conversazioni siano stati i terroristi, voglio dire la loro organizzazione. Misurando la nostra debolezza, potranno calcolare più facilmente la loro forza.

La satira e la laicità
Molti italiani hanno mostrato di non avere la minima idea di che cosa sia la satira, del suo statuto: la satira esige assoluta libertà di espressione. Altrimenti, semplicemente, non è satira. L'unico limite alla satira se lo dà il satirista da sé; un secondo limite lo può dare il pubblico, rifiutandosi di leggerla. Non c'è altro. Sorry.

Molti italiani, invece, si sono dichiarati "Je suis Charlie" solo perché quella rivista satireggiava contro gli islamici, ma hanno manifestato aperto fastidio, contrarietà, opposizione, ora e allora, nei confronti dei satiristi nostrani (es. Dario Fo, Daniele Luttazzi). Sono falsi e ipocriti "Je suis Charlie" coloro che non sono disposti ad accettare una satira spregiudicata - poniamo - contro la loro religione.

Ma ciò che è peggio è che costoro sono apparsi certamente, agli occhi di chi non ama il nostro modo di vivere, come la prova più importante della nostra debolezza, perché questa debolezza consiste nel non essere noi una società ancora pienamente laica, dove si dà a Cesare quello che è di Cesare, dove Cesare non fa le veci di Dio e dove il vicario di Dio non fa Cesare.

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