martedì 17 novembre 2015

Tecnologie dell'io (10): le intenzioni multiple del pensiero sintetico


Il pensiero sintetico
In molte circostanze, i facebookiani pubblicano quale propria immagine una fotina che rappresenta la loro adesione a un punto di vista molto diffuso, e che sintetizza dunque il loro pensiero sull'argomento. Due soli esempi: il famoso Je suis Charlie, per significare la solidarietà ai redattori della rivista satirica francese uccisi dai terroristi islamici; la fotina della bandiera greca, per significare l'appoggio alla politica di Tsipras.


La fotina surroga l'argomentazione e l'esposizione del pensiero, che richiede o potrebbe richiedere una certa articolazione, l'uso ben concatenato di informazioni non banali, e magari anche uno spazio che molti considerano eccessivo nella propria bacheca.

Sempre la stessa intenzione?
La fotina realizza l'intenzione comunicativa "sappiate che la penso così". Questa intenzione è rivolta a tutti gli 'amici', siano essi d'accordo o no. Chi concorda metterà un bel 'mi piace', chi non concorda tacerà o farà amabilmente sapere all'amico che la pensa diversamente. A volte, si discute. A volte, anche bene. Bon.

Ma la fotina assume un significato anche diverso, non necessariamente intenzionale: "sappiate che la penso così anche quando parlo d'altro". La fotina funziona un po' come, negli anni Settanta, l'abbigliamento. Chi indossava i Rayban era di destra, chi indossava l'Eskimo era di sinistra. Un segno di riconoscimento costante, valido in tutti i contesti.

Ma, mutando il contesto, muta anche il significato o, quanto meno, la sua interpretazione. Qualche esempio inventato:
  • fotina della bandiera greca in conversazione sul caldo in città. Vai a sapere quale sia l'intenzione. Inferenza possibile di chi legge: il caldo è colpa della politica ambientale dell'Unione Europea;
  • fotina di Je suis Charlie in conversazione sui diritti delle unioni gay. Vai a sapere quale sia l'intenzione. Inferenza possibile di chi legge: accetto e difendo la satira sui clericali che si oppongono alle unioni gay, anche se sono un clericale che si oppone.
Chi utilizza la fotina sovrappone, anche a sua insaputa, un meta-messaggio a ogni messaggio: tutto ciò di cui parlo è più o meno direttamente collegabile al gran tema del momento rappresentato dalla fotina. Dunque, occhio: anche se parliamo di calcio, io sono sempre pro-Tspiras. Che cosa poi distingua un pro-Tsipras da un contro-Tsipras quando si parla di calcio, è una bella domanda, a cui tutti coloro che hanno avuto conversazioni di questo tipo avranno dato, verosimilmente, una risposta diversa.

Intenzioni multiple
Ma c'è qualcosa di più e di peggiore. Infatti, la fotina surroga il discorso esplicitando solo la tesi (es. Io sono pro Tsipras). La tesi, da sé sola, non è convincente, non persuade (es. "Il mio cliente è innocente" non persuade il giudice). Non trasmette informazioni. Non invita alla discussione. Dunque, la fotina realizza una molteplicità di intenzioni, non tutte... intenzionali e non tutte necessariamente insieme:
  • io la penso così;
  • sono certo che la causa sia una buona causa;
  • penso che sia giusto diffondere la causa e contribuisco con la fotina;
  • contribuisco con la fotina anche quando parlo d'altro;
  • non ho tempo/voglia/capacità di argomentare (l'hanno già fatto altri più bravi di me, leggete i post che rilancio continuamente);
  • mi accontento di essere uno dei tanti portatori d'acqua;
  • non mi interessa riflettere su quanto la fotina condizioni le mie conversazioni su altri argomenti;
  • non mi interessa sapere quali inferenze possano compiere i miei 'amici'.

Chi usa la fotina comunica dunque male, secondo la tesi, che ho esposto nell'articolo precedente, per cui "comunica bene chi comunica bene la sua intenzione comunicativa".

Il ritorno nella poltiglia
La fotina certifica l'incapacità o la non volontà di comunicare secondo il modello, tipico delle tecnologie dell'io, del "Noi abbiamo qualcosa da dirci"; e manifesta invece l'adesione al modello "Io ho qualcosa da dirvi", tipico dell'establishment culturale e dei modelli organizzativi top-down. La gran differenza tra i due modelli è che il primo è conversativo (base relazionale, co-costruzione del contenuto) e si pone scopi condivisi da una comunità, mentre il secondo ha scopi, di volta in volta, informativi, didattici, scientifici, professionali, politici ecc., che chiedono consenso o interesse, ma non necessitano di una base relazionale e non richiedono la partecipazione attiva alla costruzione dei contenuti (approfondimento).

L'adozione del modello "Io ho qualcosa da dirvi" nelle tecnologie dell'io è certamente legittima (infatti è anche frequentissima), ma rimette le tecnologie dell'io in soggezione rispetto all'establishment culturale e denota spesso, in chi le usa così, la frustrazione di non far parte dell'establishment culturale. Ma è molto naif competere con l'establishment culturale: si rischia di far parte di coloro che ho definito 'poltiglia': gli scarti operati, finora quasi sempre giustamente, dai meccanismi di selezione per l'accesso all'establishment culturale.

Questa specie di 'invidia del pene', questa credenza nella validità del proprio pensiero per gli altri, quest'ansia di poter finalmente 'contare' sono espressione di una battaglia di retroguardia culturale, che potrà anche modificare (temo in peggio) lo statuto della cultura, ma soprattutto rappresentano un uso ridotto delle potenzialità innovative delle tecnologie dell'io. La forza innovativa delle tecnologie dell'io non è quella di fornire a tutti uno spazio gratuito e potente per dire finalmente al mondo quello che prima poteva dire solo al bar, ma quella di generare contenuti in comunità di scopo. Dove conta il modo, molto più del singolo che cosa.

Dopo di che, W le fotine.


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